Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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mercoledì 12 marzo 2014

Parole, parole, parole.

Quante ne diciamo, ci riempiamo la bocca di tante parole.
Ogni famiglia ha le sue dinamiche di comunicazione, ogni famiglia ascolta in un determinato modo e, soprattutto, ogni famiglia interpreta in un certo modo.
Quando dico "famiglia" intendo anche qualsiasi gruppo consolidato come tale, in qualunque settore sia inserito, in qualsiasi ambito della vita, che sia un gruppo di lavoro, piuttosto che uno di amici.
Quando frequentiamo qualcuno in un certo modo, quando il rapporto è consolidato e duraturo, spesso mettiamo insieme una serie di abitudini che diventano caratteristiche del nostro stare in relazione e quindi anche del nostro comunicare.

Ci sono famiglie che usano spesso il sarcasmo per dirsi ciò che pensano, altre che in maniera compita affrontano qualsiasi situazione, altre ancora non riescono ad esprimersi se non utilizzano toni decisamente alti.
Insomma, ognuno ha il suo modo e riconoscerlo facilita la relazione.
Riconoscerlo significa anche essere consapevoli che non ci si sta arrabbiando o non ci si sta insultando o qualsiasi altra cosa, ma semplicemente sapere che quella è la modalità di comunicazione che contraddistingue quel gruppo.

Sto parlando di parole e in realtà vorrei tanto dire ascolto, eh già, perché questo riconoscimento in realtà, questa consapevolezza, avviene proprio quando la persona si è  fermata ad ascoltare il proprio gruppo, quando nel fermarsi in silenzio si è osservato e riconosciuto il carattere che lo contraddistingue.
Eppure ascoltare è forse la parte più difficile del processo comunicativo.



Un'amica giorni fa mi ha aiutato a ricordare un aspetto molto importante che interviene mentre siamo convinti di ascoltare il nostro interlocutore, ciò che facciamo mentre siamo lì in silenzio è parlare.
Non sono impazzita, parliamo a noi stessi, mentre qualcun altro al di fuori sta indirizzando messaggi a noi, siamo lì in silenzio, ma solo apparentemente, ciò che stiamo facendo è "leggere la mente", quella di chi sta parlando a voce alta, esprimendo qualcosa indirizzata a noi.

Pensateci un attimo, qualcuno vi dice qualcosa, e mentre lo fa voi state già pensando alle marmotte che incartano il cioccolato, vi state dicendo "cosa avrà voluto dire?" o anche "chissà cosa c'è dietro?".
Ebbene questo è leggere nella mente altrui, o essere convinti di poterlo fare, prima ancora che l'altro abbia terminato di esprimersi.
Come dicevo è un processo che più o meno tutti nella vita attuiamo, anche perché in qualche modo vediamo la comprensione legata all'interpretazione e proprio il vederle legate spesso ce le fa confondere.

Quindi, pensiamo di comprendere il  messaggio del nostro interlocutore mentre invece lo stiamo interpretando.



Poco tempo fa ho avuto a che fare con una coppia di genitori, preoccupati per il proprio figlio e impegnati nel salvaguardare il suo futuro, a parte tutto il resto e le dinamiche osservabili, ciò che mi ha colpito intensamente è stato proprio il loro modo di comunicare, anzi di ascoltare-interpretare lo stato d'animo del figlio, le sue possibili intenzioni.

Ho scoperto, nel confronto con loro, che sono stati sempre molto disponibili e pronti a risolvere le problematiche del figlio, il punto cruciale però è che quasi mai lo hanno ascoltato, mentre troppo spesso lo hanno interpretato.

Quindi, i problemi di chi hanno cercato di risolvere?

Pensateci un attimo, quanta energia investiamo nell'interpretazione, che poi non sempre si rivela corrispondente al pensiero altrui?

E quanta ne risparmieremmo se, anziché ascoltare-interpretare, ascoltassimo-comprendessimo il nostro interlocutore?








lunedì 10 marzo 2014

Rassegnazione

Ecco la ParolaNuda: rassegnazione

La Treccani la spiega con le parole che seguono: Accettazione della volontà altrui anche se contraria alla propria; disposizione dell’animo ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili, indipendenti dal proprio volere.

Mi piacerebbe soffermarmi proprio sulla seconda parte.
Mi è capitato negli utlimi giorni di occuparmi di colloqui di selezione e, purtroppo, ho riscontrato che buona parte dei candidati presentatisi al colloquio ha negli occhi e nelle parole proprio quello stato di rassegnazione che fa rinunciare e non lascia intravedere possibilità.
Proprio questa esperienza mi ha fatto pensare che ci si è rassegnati a tal punto che ogni settore viene definito come il più maltrattato dalla crisi, ognuno esprime il proprio parere a riguardo, con un fattore comune che contraddistingue in maniera evidente ogni parlante, come se vi fosse un marchio di fabbrica, un marchio che dice RASSEGNATO!
Rassegnato all'impossibilità di trovare lavoro, rassegnato all'idea che non è possibile desiderare il lavoro ideale, rassegnato all'idea che il territorio non aiuta, rassegnato all'idea che non ci è dato di progettare, insomma "rassegnato e basta".


Voglio provocare, voglio smuovere questi animi, voglio vederli impegnati nella ricerca di soluzioni possibili.
Ne ho parlato spesso in queste pagina, la chiarezza degli intenti, la capacità di saper decidere.
Spesso durante il colloquio chiedo: "cosa vuole fare da grande?"
Le maggiori risposte che ottengo iniziano così: "io avrei voluto fare ...".
Eppure io ho chiesto "cosa vuole fare" e non "cosa avrebbe voluto", allora mi accorgo che pieni di rimpianti ci muoviamo nel mondo della rassegnazione a tutti i costi.
Ci affidiamo ai consigli di altri, ci scopriamo rinunciatari a priori, lontani dalla possibilità di sperimentare direttamente, alla fine rimpiangiamo anche l'aver seguito il consiglio ricevuto.
Una volta è la scuola, una volta è l'università, un'altra ancora il trasferimento per lavoro o il lavoro stesso.
Allora chiedo in questo momento: a cosa ci serve la rassegnazione?
Dove mi può portare?
Cosa aggiunge questo stato, se non la certezza di non uscire e non riuscire?
La sicurezza di non vedere possibilità alcuna.
Se le vostre parole denunciano la vostra stessa rassegnazione, ri-prendetevi, progettate, sognate e liberatevi dai limiti che avete posto a voi stessi.
Chiedetevi ancora cosa vi piacerebbe fare e programmate le azioni per farlo, proprio nei post precedenti abbiamo affronato il tema della chiarezza degli obiettivi e delle tre domande che aiutano a stabilire il percorso da intraprendere:
Cosa?
Come?
Quando?

La bella notizia è che anche la durata di uno stato d'animo come la rassegnazione dipende da noi, comprendere l'inutilità è molto utile, smettere è questione di scelte.

C'è anche un'altra bella notizia, ho incontrato tante persone in questi giorni, e non tutte mi hanno trasmesso la rassegnazione, molte altre mi hanno fatto vedere la volontà, la determinazione a fare meglio e la capacità di programmare il proprio futuro pur consapevoli delle difficoltà.
Del resto, se il territorio di provenienza è lo stesso, quello delle tante persone incontrate, come mai c'è chi vive la rassegnazione e chi invece la vince?

L'esperienza non è ciò che accade a un uomo. È quello che un uomo fa con ciò che gli accade.
                                                                                                                      Aldous Leonard Huxley 

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/comportamento/frase-49594>