Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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mercoledì 23 ottobre 2013

Convinzioni

Abbiamo già affrontato questo tema?

Credo di no, e mentre pensavo di non aver scritto nulla a riguardo, contemporaneamente esclamavo "come è possibile?!?"

Dunque cari amici lettori, come avete potuto capire qui oggi affrontiamo questo argomento.

Le convinzioni, impossibile pronunciare la frase "io non ne ho".
Eppure spesso mi capita di sentire persone dire che non hanno convinzioni, che il loro pensare ne è libero.

Forse ciò che bisognerebbe chiarire allora è cosa intendiamo con questo termine, perché risulterebbe impossibile, andando a fondo, scoprire di non averne.

Il Sabatini Coletti definisce le convinzioni nel modo che segue:
1 Certezza: una c. radicata || fare opera di c., persuadere pazientemente
2 (al pl.) Insieme dei principi in cui una persona si riconosce: c. religiose
• sec. XVI

E' emblematico pensare che la convinzione sia equiparata ad una certezza, del resto, come detto da H. Ford “Che tu creda di farcela o di non farcela, hai comunque ragione.”
Prima di affrontare questo aspetto, però, mi soffermerei più sulla definizione secondo la quale si tratterebbe di principi in cui ci riconosciamo.

Verrebbe quindi da dire, che non averne potrebbe dire non riconoscersi, e quindi anche che sarebbe impossibile pensare di non averne.

Ognuno di noi ha almeno una convinzione, ognuno di noi ha almeno un pensiero che lo renda certo di qualcosa.

Posso avere la convinzione di essere bello, o anche di essere brutto; posso essere convinto che non mi sposerò mai o anche che non potrei non farlo.

Potrei essere convinto che non torverò mai lavoro in un determinato paese o essere certo che sia solo questione di tempo.
Insomma potrei andare avanti all'infinito, proprio perchè la nostra mente è piena di convinzioni.
E quindi a questo punto è necessaria una specificazione, possiamo dividere le convizioni in due macro specie: le convinzioni potenzianti e quelle limitanti.

Vediamo un po' come funzionano, una convinzione è potenziante quando mi aiuta a realizzare me stesso, a sentirmi bene, quando potenzia il mio scegliere e il mio agire.
Una convinzione potenziante potrebbe essere quella che mi fa sentire sicuro delle mie capacità e del fatto che riuscirò ad ottenere ciò che voglio realizzare.

Altresì, una convinzione si dice limitante quando segna i confini tra ciò che sento di essere e ciò che potrei essere.
Limitante perché il sol pensarla rende difficile agire e perseguire un proprio obiettivo.
Se sono convinto che con una certa persona, con cui ho spesso a che fare, non sia possibile avere un dialogo o un confronto, quasi certamente questa idea si concretizzerà nel fatto che smetterò di cercare una soluzione per risolvere questo aspetto di questa relazione.
Se sono convinto che i miei problemi siano responsabilità di qualcun altro, i miei genitori, piuttosto che mio marito o mia moglie o il mio capo, aspetterò che siano gli altri a risolvere e io mi metterò in attesa, e chissà per quanto tempo .

Non vorrei essere troppo prolissa, mi fermerei al fatto che gli aggettivi usati per differenziare i tipi di convinzioni sono esaustivi.
In sintesi, le prime ci aiutano ad agire e trovare soluzioni, mettono in moto il nostro atteggiamento propositivo, le seconde ci ingabbiano in situazioni che non ci fanno stare bene, ma soprattutto non riusciamo a vedere e trovare vie per una soluzione.

Adesso, la domanda che lancio è: qual è la convinzione che sentite vostra amica, qual è la convinzione che vi ha potenziati e lanciati in una scelta che vi rende soddisfatti?

Bene, se l'avete trovata, abbracciatela, stringetela a voi perché quella convinzione potrà esservi utile anche in altre situazioni.

Qual è invece la convinzione che vi sta ronzando in testa, quella che a rifletterci un po', vi sta trascinando nel tunnel delle non-soluzioni?


Se l'avete scovata, quello che potete fare è lasciarla andare, abbandonarla, non vi è stata utile fino ad ora e certamente non lo sarà per il futuro.

Lavorare con le convinzioni è possibile, e aggiungerei utile, perché sono il motore per le nostre azioni.
Sono quelle che ci spingono a scegliere una strada piuttosto che un'altra e quindi capirne l'utilità è un passaggio fondamentale per liberarsi da ciò che oggi non ci piace, da una situazione di stallo in cui sentiamo di essere da troppo tempo.

Chiudo questo post con una frase di J. G. Pollard:

“L'opinione è un'idea che possedete voi, mentre la convinzione è un'idea che possiede voi.”



1 commento:

  1. "L'elefante incatenato" di Jorge Bucay

    “Non posso” - gli dissi - “Non posso!”
    “Ne sei sicuro?” - mi chiese lui.
    “Sì, mi piacerebbe tanto sedermi davanti a lei e dirle quello che provo... Ma so che non posso farlo”.
    Jorge si sedette come un Buddha su quelle orribili poltrone azzurre del suo studio. Sorrise, mi guardò negli occhi e, abbassando la voce come faceva ogni volta che voleva essere ascoltato attentamente, mi disse:
    “Ti racconto una storia...”.
    E senza aspettare il mio assenso iniziò a raccontare.

    “Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
    Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
    Era davvero un bel mistero.
    Che cosa lo teneva legato, allora?
    Perchè non scappava?
    Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell'elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perchè era ammaestrato.

    Allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perchè lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
    Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.
    Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta:

    l’elefante del circo non scappa perchè è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

    Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l'elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perchè quel paletto era troppo saldo per lui.
    Lo vedevo addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il giorno dopo e quello dopo ancora...
    Finchè un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l'animale accettò l'impotenza rassegnandosi al proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perchè, poveretto, crede di non poterlo fare. Reca impresso il ricordo dell'impotenza sperimentata subito dopo la nascita.
    E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo.
    E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più...”

    “Proprio così, Demiàn. Siamo un po' tutti come l'elefante del circo: andiamo in giro incatenati a centinaia di paletti che ci tolgono la libertà.
    Viviamo pensando che “non possiamo” fare un sacco di cose semplicemente perchè una volta, quando eravamo piccoli, ci avevamo provato ed avevamo fallito.
    Allora abbiamo fatto come l'elefante, abbiamo inciso nella memoria questo messaggio: non posso, non posso e non potrò mai.
    Siamo cresciuti portandoci dietro il messaggio che ci siamo trasmessi da soli, perciò non proviamo più a liberarci del paletto.
    Quando a volte sentiamo la stretta dei ceppie facciamo cigolare le catene, guardiamo con la coda dell'occhio il paletto e pensiamo:
    non posso, non posso e non potrò mai”.
    Jorge fece una lunga pausa. Quindi si avvicinò, si sedette sul pavimento davanti a me e proseguì:
    “E' quello che succede anche a te, Demiàn. Vivi condizionato dal ricordo di un Demiàn che non esiste più e che non ce l'aveva fatta.

    L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”

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